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HORROR A MONDAINO (RN)
Cronaca nera in epoca fascista

 

Francesco Maioli (Chichìn), mio padre, classe 1907, morto a 98 anni, arrivato a 95 non era più un buon conversatore. Qualunque fosse l'argomento sollevato, inevitabilmente scivolava in una delle solite storie, che raccontava sempre più o meno con le stesse parole e con gli stessi particolari: qualunque tentativo di approfondimento era inutile.
Una delle più gettonate riguardava il suo primo lavoro.
Aveva fatto le scuole professionali a Bologna e, meno che ventenne, ne era uscito con la qualifica di ebanista. Come tale aveva trovato lavoro da un falegname a Mondaino (RN) ed il primo oggetto che dovette costruire fu una cassa da morto.
Non era una cassa da morto normale, era strana - asimmetrica - perchè doveva contenere una donna e il suo bambino. Infatti era accaduto un fatto di sangue sconvolgente, e che dati i tempi e le persone coinvolte, certamente non sarà salito agli onori della cronaca: una donna, incinta, era stata uccisa a coltellate in una casa di campagna. Dal piano superiore il sangue era colato tra le fessure dei mattoni del pavimento nella stalla sottostante (le case dei contadini erano fatte così) lasciando vistose macchie rosse sul mantello bianco delle mucche. Quello che fu trovato al piano superiore era ancora più sconvolgente: nel lago di sangue giaceva la donna, il cui stato può essere immaginato considerando che essa, come si è detto, era incinta e che la cassa da costruire doveva contenere due corpi.
Le indagini non ebbero bisogno nè di Maigret nè del RIS. Una donna nelle campagne vicine aveva visto l'assassino uscire dalla casa e pulire gli scarponi nella neve. Aveva poi visto che erano sporchi di sangue, fatto due più due, e raccontato il fatto in confessione al parroco che la convinse a riferire l'accaduto alle autorità.
L'assassino risultò essere un carabiniere in licenza che aveva ucciso la donna per questioni di eredità.
I carabinieri si trovarono così nella necessità di arrestare un assassino - armato in quanto carabiniere - e che, per come aveva ammazzato la donna, poteva essere capace di ogni tipo di violenza e nefandezza.
Risolsero di chiedere aiuto a un certo Pio, di soprannome Scalogna (Pio ad Scalogna). Costui era un gigante, famoso nel circondario per la forza erculea. In una rissa aveva messo KO sette uomini e li aveva infilati uno dopo l'altro in una grossa cesta. Aveva addirittura un tatuaggio che, nell'immaginario collettivo, era testimonianza di chissà quali pericolose frequentazioni ed incredibili avventure.
Fecero dapprima circolare la voce che il sospettato era proprio Pio, cosa perfettamente credibile data la sua fama, e si rivolsero al collega assassino per avere un aiuto nell'arresto di un elemento assai pericoloso, benchè disarmato (per essere stato oggetto della richiesta, e per aver dato il proprio aiuto, non doveva essere poi tanto cattivo).
Il giorno stabilito i tre andarono ad arrestare il colosso. Cautamente lo circondarono, gli intimarono "mani in alto" e gli si strinsero sempre più vicino. Ma, al momennto di mettergli le manette, il gigante con uno scatto fulmineo afferrò l'assassino, lo strinse nella sua morsa, e gli altri due carabinieri poterono ammanettarlo senza pericolo.
Madre e figlio ora riposano nella loro bara che, benchè strana e asimmetrica, sarà stata perfetta certamente perfetta nella costruzione, come quella di Papa Paolo VI, se l'avete vista a suo tempo in televisione. Mio padre infatti era un falegname provetto, che poco tempo dopo fece domanda di assunzione nella fabbrica di fisarmoniche "Galanti". Ottenne del lavoro a cottimo, ovviamente pagato in nero: costruire a casa l'involucro esterno delle fisarmoniche, a tanto al pezzo.
Quando i suoi prodotti arrivarono in fabbrica misero in crisi l'organizzazione: non sapevano come aprirli perchè non trovavano le giunture fra un componente e l'altro. Non perchè non ci fossero, ma perchè erano fatte straordinariamente bene.
Fu assunto a tempo indeterminato e vi fece una rapida carriera fino al più alto livello nel ramo tecnico.

 

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